Dai paesaggi ai giochi visivi; dalla geometria alla fantasia; dall’indagine alla sperimentazione; dalla realtà al riflesso di un mondo fantastico e con una logica che si mescola al sogno, trae spunto dall’improbabile e appare impossibile.
ESCHER – semplicemente – il titolo dell’antologica al Chiostro del Bramante dal 19 settembre scorso fino al 22 febbraio prossimo, curata da Marco Bussagli, in collaborazione con la Fondazione Escher e con la Collezione Federico Giudiceandrea (che ha ceduto in prestito molti dei pezzi esposti).
La mostra romana raccoglie sommariamente circa 150 opere tra progetti, disegni, dipinti, incisioni, installazioni e motivi grafici ricorsivi che accompagnano l’opera di Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden 1898 – Laren 1972) sin dai primi lavori, e che tornano predominanti dopo il suo lungo e affascinante viaggio tra l’Italia e la Spagna, tra gli anni Venti e gli anni Trenta.
Si, perché l’esposizione mette in evidenza quanto la ricerca dell’artista olandese abbia, al di là di quel che si possa immaginare, un trama filologica che trova nel paesaggio italiano naturale e urbano – fatto di luci inedite, di mare, di strutture
rigidamente complesse e meravigliosamente incastonate – e, in seguito, nei monumenti moreschi tra Cordova e l’Alhambra di Granada, quella struttura geometricamente multiforme che sarà la linfa indispensabile per una produzione artistica articolata e poliedrica.Dall’osservazione delle piccole meraviglie della natura, ai paesaggi arroccati che l’artista sente il bisogno di ritrarre, sino ai motivi arabeschi che lo inducono a ricercare nella figura decorativa forme di vita semplici e universalmente riconoscibili, la mostra è intrisa di un’opera che valica le dinamiche convenzionali dell’arte.
Dinamiche che confluiscono nel concetto della simmetria degli oggetti e trovano la loro matrice nello studio della matematica, quale attività creativa per eccellenza, e nell’analisi della cristallografia quale punto di partenza per fantasie intellettuali e giochi paradossali.
Soffioni, cavallette, scarabei, poliedri, cristalli, pesci che s’incrociano con volatili, fazzoletti di terra che diventano uccelli, animali primordiali che abitano un Planetoide doppio o attraversano un nastro di Möbius. Uomini che percorrono salite e discese di scale, in una fisarmonica di linee che parte dal piano e invade lo spazio con tassellazioni a volte semplici e altre volte intricatissime ma riservate ad un fruitore consapevole nel farsi trascinare sullo scacco perpetuo di una scena impraticabile.
La mostra riserva anche alcuni dei lavori più noti al grande pubblico come Mani
che disegnano o l’affascinante Mano con sfera riflettente: una magistrale litografia del 1935 in cui l’artista si ritrae riflesso e con una prospettiva curvilinea che rifrange il suo studio.
E, definirlo un artista, sembra quasi non rendergli giustizia. Poiché la sua investigazione d’infinito attraversa la metamorfosi della forma e ci apre lo sguardo su un intellettuale che esplora l’insondabilità della realtà e il suo mistero.
Escher – del quale purtroppo troviamo pochissimi riferimenti nei manuali di Storia dell’Arte proprio per via della sua difficile catalogazione in qualsivoglia corrente o movimento – è un raccordo simbolico tra arte e scienza in una rete fittissima di ombre e luci, di vuoti e pieni, di positivi e negativi che delineano la perfezione geometrica di un universo apparentemente caotico, ma frutto di studi scientifici che, a loro volta, saranno fonte d’indagine per matematici e fisici.