L’esigenza di teorizzare una serie di lavori come stagionali nasce per via della loro natura, facilmente deperibile, e il suo nome trae ispirazione da quel tipo di attività lavorative che mancano di continuità, svolgendosi, per esempio, solo in un determinato periodo dell’anno.
Pertanto, per stagionale si intende un lavoro a cui manca la caratteristica di persistenza e – di contro – la cui natura sia replicabile in funzione della sua intrinseca ciclicità.
Anche se il suo è un tempo relativamente incerto – e che potremmo paradossalmente definire indeterminato – esso, esaurendosi nell’alterazione corporea, ne definisce la sua provvisorietà.
La caducità della materia, difatti, determina la durata di un manufatto stagionale che, come evoca lo stesso termine, racconta di fragilità, incertezze, insicurezze, instabilità, squilibri. Un lavoro che rispetta la stagionalità, dunque, oltre ad essere custode temporaneo di un concetto – replicabile ciclicamente (da ognuno) in relazione al periodo di raccolta del materiale – sarà passeggero, provvisorio, temporaneo, transitorio e precario.
Lì dove precario potrà significare anche “ottenuto con preghiere, concesso per grazia”.